lunedì 22 settembre 2014

Centrati nella fluidità


Il  vinyasa  deve essere centrato e fluido nel ritmo del respiro. Il vinyasa si percepisce centrato quando è possibile fermare in qualsiasi momento l’esecuzione del movimento-respiro senza stressare le articolazioni. Il vinyasa è fluido quando combina insieme gli elementi della terra, dell’acqua, del fuoco, dell’aria e infine dell’etere nel movimento-respiro.

La fluidità nel vinyasa ci svincola dai filtri mentali, idee, immagini o l’illusione del controllo che abbiamo di noi stessi. La respirazione è l’architetto dell’essere, armonizza conducendoci all’essenzialità. La maturità della pratica consiste nell’ascoltare il corpo attraverso il respiro restando sempre centrati nella fluidità.

Nella percezione del momento presente c’è yoga.


La pratica dell’ashtanga vinyasa yoga combinando in sé centratura e fluidità è in grado di sintetizzare l’esperienza degli elementi sottili. 

Per terra intendo quindi l’esperienza del radicamento come condizione necessaria per lo sviluppo di un equilibrio dinamico verso il cielo che ha il suo baricentro nel bacino. Per acqua, l’esperienza dei movimenti della colonna vertebrale per entrare nelle posizioni yoga. Per fuoco, l’esperienza di aumentare il calore pranico e distribuire il prana in tutto il corpo. Per aria intendo l’esperienza di allungarsi attraverso il respiro e percepire lo spazio interno respiratorio delle posizioni; imparare a sviluppare una pressione interna pari e contraria alla pressione esterna dell’aria nelle posizioni yoga diventa un modo per occupare tutto lo spazio in cui ci troviamo.

Per etere infine, intendo l’esperienza della recettività che viene attraverso il cuore.

Per integrare questi elementi nella pratica occorre intanto capire come l’essenza del vinyasa sta nel movimento rotondo diverso dal movimento angolare che spesso, erroneamente, inseguiamo come praticanti. Il vinyasa unisce le posizioni yoga bilanciando il corpo intorno all’asse centrale – la colonna vertebrale, elemento acqua - attraverso un movimento rotondo in equilibrio tra forze opposte.

Il radicamento – elemento terra - permette di innescare una forza ascendente durante l’inspirazione, e l’estensione continua durante l’espirazione permette il flusso di una forza discendente. Il centro fisico nella regione pelvica è il punto d’incontro dei flussi di informazione ascendenti legati all’inspirazione e discendenti legati all’espirazione (elemento aria). Il primo raggio d’azione va dai piedi alla vita, il secondo raggio d’azione va dalla vita alla cima della testa ed è nel tristana (bandha, respiro e dristhi) che si trova la sintesi di un’interazione consapevole con se stessi e con l’ambiente (vivekakhyati, consapevolezza discriminante).

Il movimento rotondo attiva i muscoli, mantiene margine nelle articolazioni, rende efficienti tutti gli organi del corpo; inoltre scioglie i punti di tensione nella colonna vertebrale e nel cingolo scapolare, nati da cause interne - legate al vissuto emotivo -  o da cause esterne  - legate a traumi o a abitudini posturali -  migliorando di conseguenza la resilienza psico-fisica (termine preso in prestito dalla fisica dei materiali per indicare la proprietà dei materiali di deformarsi e poi ritornare allo stato originario).

Il vinyasa può essere scomposto nei suoi movimenti anatomici in modo tale da imparare ad agire in profondità sia a livello del tessuto connettivo sia a livello articolare. Il cervello attraverso la respirazione viene massaggiato portando in equilibrio le sue parti e integrando nella pratica la visione periferica si acquisisce uno stato meditativo della mente. Dalla mia esperienza la dristhi è la direzione dello sguardo non su un punto specifico ma su uno spazio specifico, per esempio, può essere lo spazio circoscritto in cui c’è la punta del mio naso. La mente, pratica dopo pratica, diviene più stabile, più recettiva, più calma spostando il centro dell’esperienza a livello del cuore (elemento etere). Il cuore è l’organo delle sensazioni positive, per esempio, quando immagino mia figlia felice lo sento con il cuore. Tutto questo accade perché il prana – elemento fuoco -  viene diffuso in tutto il corpo a diversi livelli.

I movimenti angolari sono invece tutti quei movimenti che puntano al risultato finale,  trovano una via veloce nel chiudere le posizioni e vengono imposti dalla mente al corpo. I movimenti angolari rafforzano gli schemi mentali, spengono i muscoli e bloccano le articolazioni consumando il corpo e incrementando il karma negativo ottenendo come risultato l’opposto dell’intento iniziale. Tuttavia sono tranelli nei quali tutti noi praticanti cadiamo lungo il percorso di crescita spirituale.



La pratica matura è la combinazione equilibrata tra centratura e fluidità.

Dalla mia esperienza come insegnante e praticante, non si può limitare la modalità di apprendimento ad una sola condizione, cercando solo la centratura oppure la fluidità.
Ad esempio la ricerca della sola centratura, scomponendo il movimento, tenderebbe nel lungo periodo a far vivere la posizione come un parto mentale irrigidendosi su una percezione binaria del movimento; oppure basandosi soltanto sulla fluidità senza centratura, il movimento finirebbe per essere senza ordine.

Ciò che occorre, dal mio punto di vista è portarsi verso un’integrazione di principi vitali nella pratica. Tale integrazione  passa da uno stile di vita che ruota intorno alla pratica stessa, modificando uno stato di cause, (dharma, qualità, proprietà, retto cammino e giuste azioni). Per esempio, praticando al mattino prima delle 8 perché con la mente più fresca, seguendo un’alimentazione tendenzialmente sattvica per non appesantire il corpo e la mente, studiando lo Yoga Sutra o altri testi, si impara a gestire e interpretare la pratica e l’energia che viene da essa (99% pratica e 1% teoria). L’interazione con se stesso e con l’ambiente esterno contribuisce a creare la  personale “bolla di esistenza”, nella quale le cose accadono come spinte da una forza retroattiva.

In sostanza, il “passatempo dello yoga” si gioca nel lungo periodo, forse più vite, e penso che non esistano pratiche buone o cattive perché all’interno di un percorso di crescita l’importante è praticare sempre con tapas, desiderio ardente per la pratica.

Ho scelto l’ashtanga vinyasa yoga perché è fondato sui tempi di apprendimento dei praticanti, ognuno in cammino verso la conoscenza di se stesso.
In una stessa classe Mysore style infatti possono convivere praticanti esperti e praticanti che hanno appena iniziato, supportandosi a vicenda all’interno dello stesso ambiente energetico. Ed è in questo ambiente che ogni praticante può arrivare ad un’alchimia dove gli elementi terra, acqua, fuoco, aria si fondono in un’esperienza più sottile, l’elemento dell’etere.